Questa mattina mi sono svegliato con un sole che, anche se siamo a novembre, scaldava molto. Prendo le mie cuffiette e vado a farmi un piccolo giro. Fuori non c’è tanta gente. E’ ancora presto, ma le “signore della carità” erano già in posizione. Sono circa cinque, sei, sempre le stesse. Mezze sdraiate, non parlano, ma allungano la mano con il loro bicchierino di plastica vuoto. Mi guardavano come se dovessero morire oggi. Sono una bella coperativetta. Passo, le guardo. Di vista ci conosciamo da tanto. Faccio un mezzo sorriso e loro spostano sguardo e “bicerin” verso un altro passante. Vado verso il centro cercando un mercatino o bancarella dell’usato. C’era qualche banchetto, ma di cose nuove. Arrivo nella zona della Posta Centrale e nonostante le mie cuffiette attaccate alle orecchie sento urlare. Una signora. Non capivo bene cosa urlasse, di certo lo faceva molto forte. Tolgo una cuffia, mi giro per vedere cosa potesse succedere di così grave. Una vecchietta con la spesa urlava ad un ragazzo di colore. Gli gridava contro con grande cattiveria: “Non fare la carità, torna da dove sei venuto!”. Lo diceva ripetutamente e sempre più forte. Il ragazzo senza poter parlare impossibilitato dalle urla forsennate agitava solamente e con velocità la mano, per farle capire che no, non chiedeva nulla, niente di niente. La gente guardava e proseguiva sulla propria strada facendo finta di niente. Non potevo sentire più urlare così forte. Mi sono avvicinato all’aggressiva vecchietta e le ho chiesto cosa fosse successo. Sempre urlando mi rispondeva: “Devono tornare a casa!”. Il tutto condito con insulti. Le ho consigliato di non dargli niente e andare avanti e che urlare con tutta quella rabbia le avrebbe fatto molto male. Questi ragazzi non chiedono l’elemosina, alcuni ti allungano qualche libro o qualche accendino, di solito nella zona del Viale, ma lui non aveva nulla in mano. Forse cercava una via o un’informazione. A me sembrava un universitario. Gli ho schiacciato l’occhio e ho alzato le spalle per dirgli che non tutti siamo così, di lasciarla perdere e con un “ciao” ho proseguito il cammino. Rimetto le cuffie e vado verso il bar in una traversa di Piazza Unità al Bar del Borgo. Sono andato anche per lasciare “Volere Volare”. Ce l’ho sempre nello zaino. Caffè, cornetto mignon per restare nel mio budget di “cistura” di fine mese. Mi siedo fuori baciato dal sole. Mi stavo ricaricando. Dalla vicina piazza si sentiva arrivare un suono molto dolce. Uno strano strumento che in Italia si è visto poco. Ho pensato: “Sicuramente un artista di strada”. Mi avvicino per ascoltarlo meglio e vedo un ragazzo giovane, biondo. Oltre a suonare aveva un cartello con su scritto: “ Aiutatemi, hanno rapito la mia ragazza, devo riscattarla”. Molti dei passanti lasciavano monete. Incuriosito mi sono seduto al suo fianco. Nel saluto ho subito capito che non era italiano. Incuriosito gli chiedo subito della sua ragazza, cosa realmente era successo. Mi guarda e con un mezzo sorriso mi dice: “Marketing”. Gli chiedo anche da dove cazzo arrivasse, pensando fosse inglese. “Germany”, mi risponde. Minchia, con tre parole gli ho detto: “O togli il cartello o ti inventi una bella storia altrimenti prima o poi qualcuno ti mena di brutto perché è una truffa”. Rimetto le cuffie, lo mando affanculo poco gentilmente e cerco altre bancarelle in Cavana, ma niente. Un po’ di mutande, qualche maglietta. Giro per Città Vecchia e ad un certo punto mi viene incontro un tipo tracagnotto, mezzo vestito d’austriaco. E’ là da tanto tempo, l’avevo visto molte altre volte. Gran bevitore. Mi chiede soldi. Gli vado incontro con le braccia mezze aperte per dirgli che ero più “cisto” di lui e quando mi sono avvicinato l’ho abbracciato dicendogli che era il massimo che potevo dargli in quel momento. Mi ha ringraziato e augurato tre volte buona domenica. Ero uscito con la speranza di incontrare qualcuno che conoscessi per un caffè e una mezza chiacchiera e non mi ero accorto che fosse passata già l’una di pomeriggio. Ora posso tornare a casa, una persona che conosco di vista l’ho incontrata e con un abbraccio mi ha fatto sentire bene: “l’austriacone”.
Lucasan